Incontro Soufianne nel campo di Lipa, se ne sta in disparte, osserva silenzioso le altre persone dall’angolo nel quale si è seduto. Così mi avvicino e provo a farci due chiacchiere. Ha 29 anni, viene dal Marocco e dice di avere dei bambini a cui vuole molto bene e che gli mancano. Quanti ne hai? chiedo io. Una quindicina, risponde. Sono perplessa, lui mi mostra delle foto dal cellulare.
Siamo in una classe di scuola elementare, un gruppetto di bambini e bambine sorridenti sfoggiano dei diplomini fra le mani. Al centro c’è lui, altrettanto felice e soddisfatto. Le foto si susseguono, le classi sono tutte colorate, ci sono pure dei video di giochi educativi che si è inventato per aiutarli a sviluppare certe abilità motorie e collaborative particolari, me le spiega in modo straordinariamente dettagliato per il livello di inglese che parliamo, si vede quanto ci tenga. Penso che questa sia proprio una vita da sogno: fai il lavoro che più ti appassiona, ti senti realizzato e tutti intorno a te ti apprezzano e vogliono bene, dai colleghi e le colleghe ai bambini e le bambine. Per un attimo quasi mi chiedo perché mai si trovi qui, in questo campo di transito tutto grigio, in attesa di passare la frontiera con l’aiuto di Dio, come dicono sempre, ovvero se la polizia croata o qualche altro spiacevole incontro non li respinge.
Mi trattengo, non vorrei essere inopportuna, eppure è lui a spiegarmi che guadagnava troppo poco per condurre una vita degna, con una casa e una madre anziana a cui pagare le cure mediche, non riusciva proprio ad andare avanti così. Vuole provare ad andare in Italia, oppure in Francia, chissà.
Mi chiede se potrà riprendere la sua carriera da insegnante. In un secondo mi volano di fronte agli occhi le ultime notizie lette sulle politiche migratorie europee, mi vedo la faccia sconsolata di un’amica che lavora al Naga (un’associazione di Milano in supporto alle persone immigrate) che qualche mese fa mi ha detto “oramai serve un miracolo per legalizzarsi, anche a chi chiede l’asilo, figurati per il resto”. Penso alla mia amica libanese che ha perso il permesso di soggiorno dopo anni di studio in Italia solo per un’inerzia burocratica divenuta valanga irrimediabile in poche settimane e ora non può più studiare e vaga nell’incertezza e nell’ansia di trovare un lavoro in nero per arrivare a fine mese. …“Inshallah”, riesco solo a rispondergli, “non sarà facile ma spero proprio che tu ci riesca”. D’altronde quali altre risorse gli restano per portare avanti le sue giornate in questo limbo di vita al confine, se non la speranza e la determinazione nel trovare una vita migliore? Ci salutiamo, esco a prendere un po’ d’aria fuori dal Social Café. Qualche settimana dopo ci arriva un messaggio sulla pagina Instagram di Ipsia: è lui, è in Slovenia e sta bene. Buon viaggio maestro!