In questo articolo Lara ci racconta della sua esperienza di Servizio Civile in Kenya, conclusasi a giugno 2024.
Ho visto da tutte le angolazioni il monte Kenya, ma senza mai raggiungerne la cima. Se c’è una cosa che ho imparato dal libro di Cognetti, però, è che non devi per forza raggiungere la cima per vivere una montagna. Per raccontare questo monte quindi lasciatemi parlare delle sei angolazioni che hanno caratterizzato il mio servizio civile.
Embu è sicuramente la prima. Qui ho imparato a conoscere meglio il mondo del caffè, a raccoglierne manualmente le bacche mature e scegliere le foglie di tè giuste per avere una bevanda di maggior qualità. Ho appreso come destreggiarmi nelle shamba (i campi) con i tacchi, come la maggior parte delle donne alle formazioni svolte insieme, ma anche che le canne da zucchero sono un doppio pericolo per i denti. Sono infatti zuccheratissime e hanno la consistenza del legno, eppure in ogni mercato si trova chi le vende e chi le sgranocchia felice. Ad Embu ci sono anche la bambina che si è fatta amica la mzungu (la bianca), e la signora ‘business woman’, maestra nella diversificazione. Non ci sono albero da frutta o verdura che lei non coltivi e non le mancano le capre, il pollame, i bovini e le api. Per non parlare del suo biodigestore, il negozio che affitta e la vendita occasionale di samosa (uno street food diffuso in Kenya) e, ovviamente, il caffè. Perché insomma: il caffè non è mica solo coltivato dagli uomini! Ad Embu ci sono anche l’ufficio di IPSIA e la casa che ho condiviso con Veronica; cannella (la mia piantina di avocado); diversi gechi e le capre del vicino.
La seconda tappa è Makutano, lo svincolo sia per Nairobi sia per Nanyuki, con il suo mercato polveroso a bordo strada. Lì abbiamo avuto l’onore di incontrare sua maestà, la regina dei cavoli, con il suo trono di tre metri cubi di cavoli. Ora con il nuovo svincolo chissà se quel mercato sarà ancora una tappa obbligata per i matatu, i locali bus, e i mezzi privati.
La terza tappa è Nyeri, dove si trova l’università Dedan, partner del progetto ‘Caffè corretto’. In Kenya spesso le università hanno dei campus; quelle grandi come la Dedan anche la fattoria. Ed è nella fattoria che abbiamo tenuto la riunione con i professori di agraria, perchè “siamo persone pratiche noi”. Confermato dai saluti post riunione: “Buona giornata”, dicono, “è stato un piacere, ma ora torniamo dalle nostre vacche”.
A poco più di un’ora si trova la quarta tappa, Nanyuki. Con gli estesi mercati, Andreina e il suo ristorante italiano e Furaha, la childrens’ home che gestisce con il marito Cleopath. Ma anche LPC, (il centro di permacultura partner di IPSIA), con il su ufficio, il centro ricettivo, l’orto ed il centro di trasformazione. Ogni volta che arrivava l’ora di andarsene dal centro di trasformazione venivo sorpresa dal temporale che arriva immancabilmente ogni giorno dal monte. Laikipia, terra dei gruppi con cui IPSIA lavora e che in più occasioni abbiamo visitato, sempre accolti dal loro canto di benvenuto, dal chai e una polenta e spezzatino al volo. Anche se qui preferiscono chiamarla ugali.
Meru è la quinta tappa, con le cooperative del progetto maziwa, latte. Una di queste cooperative, dove ci hanno offerto una porzione da 750 ml di yogurt spacciandola per monodose, è a 2600 m di altitudine ed è letteralmente a due passi dalla cima del monte. Meru è dove ho scoperto che il porridge può essere anche buono, soprattutto quello fermentato fatto con il miglio.
L’ultima tappa del mio viaggio intorno al monte Kenya è Tharaka Nithi, con l’aria che sa di nettare, il carcade, le riunioni sotto le fronde degli alberi, le galline più buone del Paese e anche qualche zanzara di troppo.
Sebbene non abbia mai raggiunto la cima del Monte Kenya, non posso certo dire di non aver vissuto la sua essenza. Chissà, forse in futuro potrò raccontare anche com’è raggiungere la sua cima da più di 5000 metri!