In queste prime settimane abbiamo incontrato tante persone, tante storie che s'intrecciano per il tempo di una partita, le mani e le voci che si sovrappongono, i gesti che riempiono le parole che non sappiamo dirci. Nessuno di noi vorrebbe essere qui, eppure ci troviamo ogni mattina tra questi container, tra questi tavoli. Essere presenti nello spazio del campo significa che più di una violenza ha avuto luogo in precedenza. La violenza dei paesi di origine e poi dei confini che non si possono attraversare. La violenza di un sistema che sistematizza l’immobilità delle persone e ne criminalizza la libertà di movimento. Un sistema che invece che proteggere rende fragili, vulnerabili e senza altra alternativa se non l’illegalità.
Ogni mattina auguriamo il buongiorno e chiediamo “come stai?”. Una domanda banale visto il contesto, ma che rende un po’ di umanità ad un posto dove manca. Le risposte sono rapide, seguono lo scorrere delle persone in fila ad aspettare una tazza di caffè. “Tutto bene, così così, un po’ stanco, il game, ci riproverò, sempre peggio”. L’umore delle persone cambia da un giorno all’altro, chi rimane troppo nel campo dice di impazzire, di non sentirsi più lo stesso di prima. Il social cafè viene visto come uno spazio sicuro, “il primo posto dopo mesi di viaggio dove non ho paura di essere picchiato”, dice un ragazzo siriano che viaggia per raggiungere la sua famiglia in Europa. Le persone ci chiedono di rimanere aperti anche nel weekend perché, quando chiudiamo non ci sono più spazi sociali in cui andare, dove poter giocare e scambiare due chiacchiere cercando di allontanare per poche ore la realtà pesante in cui ci si trova. Mentre stiamo con le persone cerchiamo di non parlare del game, del viaggio passato, ma il raccontarsi diventa inevitabile nella maggior parte dei casi. Viene data importanza ad ogni momento di condivisione ed è una grande responsabilità che ci vengano affidate queste storie. Quando non parliamo delle nostre vite giochiamo, dipingiamo, leggiamo, parliamo del cibo e di quale sia il più buono. Per fortuna sappiamo ancora ridere e prenderci in giro per alcuni modi di fare, per come pronunciamo alcune parole. È sempre una bella sorpresa quando scopriamo di avere una lingua in comune, anche se è un po’ sgrammaticata e ha bisogno di un aiuto da google translate per finire le frasi più difficili. Rimaniamo stupite dalla complessità e dalla semplicità di questo posto, di queste relazioni che si creano nel corso di una mattinata con persone che probabilmente non vedrai mai più. Eppure ci incontriamo qui, tra una tazza di caffè e una partita a biliardino che sembra il campionato, fino all’ultima palla, con regole che nessuno rispetta e il goal che suscita indignazione. “Hai giocato sporco, hai barato!”. Inutile insistere, ormai la palla è dentro. Il Game continua: chi resta, chi avanza, chi torna indietro. Nessuno rispetta le regole del gioco: è tutti contro tutti.